Critica

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Riscoperto Christian Hess

Il pittore tedesco operò molto in Sicilia, a Messina soprattutto,
quindi la maggior parte della sua produzione migliore è rimasta a
casa nostra, grazie ad un collezionismo messinese sensibile e attento

Carlo Giacomozzi

La Fiera letteraria - Arte
Anno 51° n. 9 - 2 marzo 1975

“Atto di omaggio  della Sicilia al pittore tedesco che consacrò all’arte e alla libertà dello spirito la propria vita e che nell’isola trovò amica la natura e l’umanità della gente”, è stata definita la retrospettiva delle opere di Christian Hess allestita a Palermo nel novembre-dicembre dello scorso anno nel Palazzo del Turismo ed ora trasferita a Roma nelle sale della Deutsche Bibliotek, al 267 di via del Corso. A carattere itinerante, la mostra andrà successivamente a Padova, Genova, Trieste, Bolzano, Torino e Milano mentre - nel 1976 - sarà portata nelle città di Innsbruck, Vienna, Zurigo e Monaco di Baviera.

Ci si può domandare: perché tanto fervore e interesse per l’opera di un pittore non certo famoso o comunque poco conosciuto? Leonardo Sciascia - che ha dettato la prefazione ad un catalogo monografico, pubblicato dalla palermitana Cassa centrale di Risparmio e appunto intitolato a Christian Hess (con testi di Marcello Venturoli, Hans Eckstein, Nuccio Cinquegrani e Domenico M. Ardizzone) - ricorda che presentando nel 1957, a Roma, una mostra di arte contemporanea tedesca Will Grohmann ad un certo punto annotava: “Si ebbero nel 1920 anche degli “outsider”, che è impossibile catalogare con precisione e che comunque non raggiunsero, in seguito alla politica culturale inauguratasi nel 1933, quei risultati che si erano prefissi. Sorprendente è il fatto che i pittori più vigorosi come Theodor Werner, Ernst Wilhelm Nay e Fritz Winter abbiano continuato a lavorare anche dopo il 1933 e che nel 1945, dopo una apparente interruzione, siano riapparsi sulla scena pittori e scultori che si credevano perduti”.

    

Giustamente Sciascia osserva che nell’annotazione dell’illustre storico dell’arte “si può inscrivere la sorte di Christian Hess, ma con la non lieve variante che, morto l’anno prima (nel novembre del 1944, nell’ospedale di Schwaz, dopo un bombardamento aereo su Innsbruck - n.d.r.), non poteva riapparire nel ’45 né le sue opere - trovandosi in gran parte fuori della Germania - potevano essere censite, catalogate e mostrate”. Così, nel caso specifico, si può parlare di vera e propria riscoperta a favore dell’opera di Christian Hess, essa peraltro essenzialmente intesa come recupero culturale non diremmo utile sebbene importante: il fine è dunque di reintegrare nella storia una personalità che il corso di eventi drammatici (la dittatura in campo artistico instaurata dal Terzo Reich, le persecuzioni, la guerra, le peregrinazioni e tutti gli altri accidenti, non ultimo la sua morte) ha finora lasciato in disparte.

Del resto il pittore ha molto operato in Sicilia (a Messina soprattutto) e quindi la maggior parte della sua produzione migliore è rimasta a casa nostra, grazie ad un collezionismo messinese assai sensibile e attento, rendendo di conseguenza oggi possibile l’iniziativa di raccogliere i sessanta dipinti che formano il corpus della retrospettiva, riassunta entro un arco di tempo che va dal 1922 al 1938 (che è l’anno in cui Hess lascia la Sicilia, senza farvi più ritorno impedito appunto dallo scoppio della guerra): non una breve antologia, come verrebbe fatto di pensare, se l’intera produzione accertata e documentata - compresi i dipinti e le sculture andati dispersi o distrutti - si aggira sulle centocinquanta opere. In realtà poche in rapporto ai ventiquattro anni di esercizio dell’arte, ma le traversie e i triboli del pittore hanno certo rappresentato un ostacolo non indifferente alla sua libera e serena attività creativa.

    

Tuttavia i dipinti, gli acquerelli e i disegni presentati dagli ottimi organizzatori sono documenti pittorici più che sufficienti e medesimamente preziosi per poter fissare inequivocabilmente i valori dell’arte di Christian Hess che, senza affatto dissimulare le naturali caratteristiche di una espressività di cadenza espressionistica, non sfugge - anzi non si sottrae - alle suggestioni o comunque all’eco d’una dolcezza in assoluto mediterranea. Che l’artista sia peraltro  spontaneamente disposto a figurare senza inacerbire l’espressione, lo attesta lo splendido dipinto del 1922 “Baronessa con veletta” che satura quell’indubbio raggiungimento dello stile, dal quale - giusta l’acuta osservazione di Marcello Venturoli - “egli potrà concedersi esperienze assai diverse e anche lontane fra loro, perfino ritorni nell’area impressionista e espressionista tout court, ma mai tornare indietro o ripiegare su posizioni di comodo”

Molte allora le opere di Hess gentilmente poetiche, soffuse di malinconie, aperte ad un’intima emotività - come “La Signora M. N. coi figli” (1928), “Coppia in costume da bagno” (1930), “Ragazza tra i papaveri” (1932) - e molte altre imbevute di qualità lirica, specie nell’incontro dell’artista con il paesaggio naturale della Sicilia, con la solarità alta e costante di quella terra. Ma in altre ancora l’incidenza espressionistica riemerge con tutta schiettezza, come possiamo vedere - ad esempio - nel vigoroso ed essenziale “Autoritratto sulla barca” (del 1933): quasi a significare che i “ritorni”, ovvero il suo variare e svariare, hanno un senso non soltanto definito dai momenti particolari dell’impegno ma sono anche il segno di una cultura libera di uscire dalle secche del modulo senza arrecare guasti allo stile e all’espressività, poiché Hess sempre si fa riconoscere per nelle dissimili invarianze formali.

Frutto certamente di una sottile cultura assai bene assimilata e dunque portata ad individua sostanza: cultura che non esclude l’esperienza della grammatica cubista (si vedano alcune braquiane nature morte del 1933 e del 1935 e il dipinto “Tre modelle” (del 1932) i cui valori, almeno compositivi, discendono – abilmente filtrati – dalle celebri “Demoiselles d’Avignon” di Picasso, come quella avuta al contatto del nostro Novecento che in Hess si determina, scrive Venturoli, “sia per una accentuazione veristico-accademica, sia per una certa “solennità” di positure”. Peraltro questi “debiti” - se così possiamo chiamarli - non contaminano affatto (se mai rafforzano) la spontaneità dell’artista, né compromettono la sua indipendenza. Proprio per questo, la riscoperta e la riproposta dell’opera di Christian Hess è un fatto che appartiene alla storia della pittura.

                                                                                               Carlo Giacomozzi