Critica

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 Una mostra antologica in Palazzo Vecchio a Firenze

I quadri italiani di Christian Hess
L’esordio nella Germania del primo dopoguerra – In lui si continua la tradizione tedesca e nordica
del viaggiatore proiettato alla scoperta del Mediterraneo e dei grandi ambienti storico-artistici

 

Dario Micacchi

 

l’Unità – sabato 14 febbraio 1976 – pagina 3

 

Promossa dal Goethe Institut, la mostra di Christian Hess ha toccato Firenze (Sala delle Armi in Palazzo Vecchio). Questa pregevole antologica è composta in gran parte di quadri italiani, siciliani, ed è un primo contributo alla conoscenza di un pittore che fu anche incisore, acquerellista, pittore murale e scultore, un po’ ingiustamente messo ai margini delle vicende dell’arte tedesco-europea.  Nel catalogo, che contiene diversi contributi critici, Leonardo Sciascia parla di “un atto di restituzione che la Sicilia compie” e di un valore primario dei quadri dipinti a Messina. Per un giudizio più sicuro che noi non siamo in grado di dare, bisognerebbe conoscere più a fondo la produzione di Hess, compresa quella del muralista. Ma è certo che natura e vita quotidiana siciliane salvarono pittoricamente Hess.

Christian Hess: “Donna con cappello nero”, 1930

Nato a Bolzano nel 1895 (cambiò i nomi di Alois Anton in quelli di Louis Christian) dopo la guerra mondiale, nel 1919’20 si fece notare nelle mostre dei giovani a Monaco come un fresco, sereno postimpressionista. Monaco che con Parigi era stata una delle capitali della pittura mondiale, aveva ceduto a Berlino e al realismo critico di pittori come Beckmann, Grosz, Heartfield, Dix, Kollwitz, Radziwill. Fu una posizione particolare, in una vita travagliata, quella di Hess. Non fu pittore di lotta, un realista critico antiborghese. In lui si continua una tradizione tedesca e nordica del viaggiatore intellettuale proiettato alla scoperta del Mediterraneo – da riportare poi al Nord come una scoperta pittorica- e dei musei e dei grandi ambienti storico-artistici. Amò molto la Francia ma non la toccò mai nei suoi tanti viaggi : conobbe soltanto Anatole France nel 1921. Da lontano vagheggiò il cubismo tardo di Braque e di Picasso: qualche quadro è un omaggio a questo cubismo sognato. Amò anche il museo e non soltanto perché fece tante copie su commissione, sia a Vienna sia a Firenze: per lui il museo era vita come una città, un quartiere e il suo dialogo con le forme antiche è un potente stimolo per il suo sguardo sulla natura e sul quotidiano. Intellettualmente, poi, preferì il mondo poetico del viaggiatore all’impegno sociale e politico nella Germania degli anni venti; poi la tragedia nazista della sua terra lo accompagnò come una maledizione da lui sempre fuggita finio alla morte sotto un bombardamento a Innsbruck nel 1944.

La Sicilia e Messina furono il suo rifugio: Ci tornò innumerevoli volte e per lunghi soggiorni (si deve alla sorella Emma, a Messina, l’essere stata prima un prezioso aggancio umano e poi la salvezza di tante e tante opere amate, curate, ordinate). Oltre il lontano cubismo francese di Braque e Picasso, due furono i punti fondamentali di riferimento di Hess: i grandi trittici simbolici e tragici di Beckmann conosciuto nel ’28 e le figure quotidiane postcézanniane di Hofer conosciuto nel ’30. Tutto il flusso della luce, dei luoghi, della vita, siciliana è bloccato in una composizione di colore, ora ardente ora dolce tra Beckmann e Hofer. Di suo, di molto personale, Hess ci mette lo stupore per la luce e le ore mediterranee e una simpatia ora struggente ora ironica per ciò che è quotidiano e popolano. Dice una cosa curiosa Sciascia: che Hess ha dipinto le stesse cose di Guttuso (si potrebbe aggiungere: con tanta preoccupazione in  più, però, per il museo e per l’antico un po’ come prese ai nostri Carrà, Funi e De Chirico). Il lascito pittorico di Hess è la calma fiamma di Messina e del Mediterraneo che egli ha dipinto tra il 1927e il 1938: dai quadri di fichi d’india alle finestre e alle terrazze; dalle “Donne di Messina” a “L’indovino”, a “Ladro e carabiniere”, a “Autoritratto sulla barca”, al “Nettuno”, e a qualche paesaggio più aperto siciliano e toscano.                                                                                                   

                                                                                                          Dario Micacchi