Critica

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Christian Hess all’Artmessage di Roma

Un pittore colto e composito
 

Domenico Guzzi
 

“L’Umanità” – Speciale Arte
22 aprile 1983

 

Alcuni momenti dell’arte del nostro secolo, specie dei suoi primi decenni, nonostante le analisi che sono state proposte nelle sempre più frequenti grandi mostre e rassegne specifiche, dovranno, nel tempo, subire una ulteriore revisione: spesso, infatti, sfuggendo a quelle analisi personalità interessanti.
Autori a volte isolati, lontani dal grande pubblico - e allontanati da ogni Celebrazione – sono di recente, infatti, tornati ad essere osservati con particolare attenzione. E si dirà solo di quel gruppo di artisti riproposti dalla mostra bolognese  “La metafisica e gli Anni Venti”, riesaminati poi dalla milanese “Anni Trenta” come Ubaldo Oppi e Cagnaccio di San Pietro. Pittori che appaiono in tutta la loro attualità. Dovendo, così, parlare di Christian Hess, nato a Bolzano nel 1895, ma di cultura evidentemente tedesca e a lungo, poi, vissuto in Sicilia (regione che fu frequente meta di intellettuali d’Oltralpe) ci si dovrà in qualche modo rifarsi a quanto detto su quelle particolari entità che, se riviste, potrebbero offrirsi se non proprio sorprendenti, quanto meno interessanti. Hess è proposto, oggi, dalla Galleria Artmessage di Roma (Corso Rinascimento) in una sintesi di opere che traccia, tuttavia, con qualche chiarezza, quei suoi intenti e quei suoi percorsi. Può tuttavia, in tutto ciò scoprirsi l’evoluzione d’un discorso coerente che nulla rinnega: qua e là riemergendo l’esperienza del passato. Si influenzò l’artista, nell’ambiente della “Secessione” e neppure rimase, si direbbe, del tutto indenne dallo spirito del “Blau Reiter”, emergendone accenti, sia pure inconsci, in opere di epoche successive.
Ma fu la cultura del classicismo, del ritorno all’ordine degli Anni Venti-Trenta, quella che doveva maggiormente premere sulla sua individualità. Sarà, così, possibile rivedere, in quei quadri, lo spirito di una atmosfera, mentre non si crede sia il caso parlare di riferimenti che, in un uomo quanto lui solitario, doveva semplicemente inquadrarsi come un qualcosa che si capta nell’aria. Era il periodo con un suo particolare gusto, e di quello, il pittore, partecipò. Raffrenando certo la cromia; cristallizzando in qualche modo le forme; costringendosi come in una misura compatta, e pure, altre volte schematizzando evocativamente l’immagine.
Finalmente l’arrivo in Sicilia. Per lui, più tedesco che italiano, significò la scoperta e l’immedesimazione nella luce solare del Mediterraneo. Mutando, dunque, il registro di quelle note cromatiche: ampliando di pari passo anche l’orizzonte introspettivo. La natura siciliana, quel verde, quelle rocce, quelle piante, quegli azzurri, quelle sensazioni di calura lavica si rifletteranno nella sua opera che arriverà anche ad abbracciare scene di quotidianità proletaria.

C’è, in questa mostra del periodo siciliano, non tanto l’“Autoritratto sulla barca” del ’33, che potrebbe mostrare dei limiti, quanto un paesaggio, “Asinello e fichidindia” del ’25, la cui forza espressiva ed emotiva si concentra tutta sull’entità della materia che si offre per spesse e grumose pennellate, a farsi particolarmente indicativo - considerando soprattutto quella data - di una potenza espressionista coagulatasi nell’immagine.
Il pittore sembra qui, non subire i traumi della rappresentazione. Identifica la forma col colore: il colore con la luce: la luce con la materia. Così da sembrare giusta interpretazione d’una realtà in qualche modo ancora “selvaggia”. Una personalità, Christian Hess, che andrebbe nel suo meglio analizzata: riproponendo, magari, la mostra celebrativa che nel 1974 si tenne, sotto gli auspici della Regione siciliana e del Goethe Institut, a Palermo.

                                                                                       Domenico Guzzi