Critica

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Vanni Ronsisvalle
 
Christian Hess capofila dell’Espressionismo Siciliano

Tempeste di luce che investono scenari e umanità siciliana

 

Prefazione al saggio di Sergio Spadaro

Nel 1882 Friedric Nietszche sbarca a Messina da un mercantile proveniente da Genova. Su un quadernino ha appena annotato versi così: “Qui giaccio, malato nelle viscere / le cimici mi divorano. E la sera / ancora luce e chiaro / lo sento: ballano”. Già insidiato dalla nevrastenia, dedica alla città dello Stretto queste liriche, cinque in tutto (Idilli di Messina) che andranno a far parte della Gaia scienza. Vi è qualcosa, a parte il sostantivo ‘idilli’ che meglio può far presentire una Stimmung di tipo espressionista?
Quando il pittore Louis Christian Hess mette piede in Sicilia per la prima volta (1925) le cosiddette avanguardie storiche, incluso l’espressionismo, hanno avuto il tempo di agglutinarsi in periodi segnati da eventi eclatanti della storia; diciamo eventi simbolo. Su ognuno dei quali convergono, si identificano, si contaminano (nel bene o nel male) movimenti, categorie, gruppi; si pubblicano manifesti, si teorizza, si inneggia, si stigmatizza. Rutila come una bandiera uno speciale vitalismo con tendenza alla implusione nel destruens; mentre fa capolino un desiderio diffuso, come di un rimorso.
Cezanne era morto da moltissimo tempo ma rimaneva, per chi aveva sensibilità a percepirne ancora l’eco, come un messaggio dall’aldilà (ed è il caso di Hess): ”Ridurre l’espressionismo a qualcosa di più solido e persistente, oltre la fedeltà alla natura. Come è l’arte nei musei”. E cosa era accaduto dalla scomparsa di Cezanne, 1906, quando Hess aveva undici anni e non poteva avere idea, presentimento di quale sarebbe stato il suo destino, cosa lo avrebbe per così dire modellato già dall’inizio? Soprattutto la quintessenza dello Stravolgente Planetario con i suoi mostri in corteo, ossia l’evento Grande Guerra, quella che avrebbe spedito sul fronte franco-belga nell’orrore di tre battaglie, Verdun, la Somme e l’Aisne il soldato Hess, quella per cui nella banalizzazione delle frasi fatte “il mondo non sarà più lo stesso”.
E’ vero che, come in attesa di una catastrofe definitiva, la vigilia prima del lutto aveva prodotto un bizzarro fenomeno. Dal Primo Decennio del secolo e nei quattro anni prima della guerra, il mondo dell’arte contemporanea si è andato affollando  di capolavori, di grandi talenti, di bagliori di creatività geniali, di un vorticoso giro di soldi e di tragiche povertà. Una deriva che percorrerà tutto il ‘900.
L’arte andrà avanti meravigliosamente da un dopoguerra all’altro da Feininger a Bacon, da Chagall a Pollock, a Warhol; figurativo, informale, astratto, optical, pop; su fiumi di denaro certo; ma anche  nei gorghi della miseria come il Tevere in cui si annega in miseria lo stupendo Tancredi abbandonato dalla sua mercantessa, Peggy Guggenheim. Il più espressionistico quadro di Otto Dix (1926), quel borghese grifagno e mercantile, sinceramente brutto al chiuso di uno studiolo da cambiavalute è proprio l’Alfred Flechtheim, ex mercante di granaglie che il primo dei grandi mercanti, D. H. Kahnweiler, addestrò generosamente al mercato dell’arte. Sullo sfondo si intravedono tele di Picasso, Braque, Gris.  
Dix dipinge Flechtheim, come Cezanne aveva dipinto Vollard, Modigliani il suo Zborowski. E’ come consegnare alla storia il rapporto economico che li legava; se Christian Hess avesse avuto un mercante a tenergli in ordine la vita, a sostenerlo. La vita fatta di occasioni e di queste Hess ne ebbe pochine o nessuna. E Parigi, dove tutto era accaduto, tutto andrà ancora accadendo, fu sul punto di raggiungerla in quegli avvicendamenti tra Belgio e Francia da soldato. Ma non vi arrivò mai. Una delusione di cui ha lasciato testimonianza.
Sarà a conti fatti la sublimazione in positivo del Secolo Breve di Hobswann. Ma non somiglierà in nulla a quella vigilia dove fu come se la sfiducia, la depressione, l’ahimé presentito e persino invocato generassero il massimo della creatività. Dove però, in tanta confusione, tutto si tiene. Strettamente connesso alle epoche, alle catastrofi ed ai passi avanti della modernità (che non è detto sia sempre  progresso). Nella diversità dei generi.
Quando ancora la prima guerra è lontana, mentre la letteratura si connette alla storia qua e là anticipandola (Blok, Gorki, il nostro Pirandello di Il Turno, l’imprevedibilità dei fatti e del destino, la Mansfield di In una pensione tedesca, lo Strindberg di Camerati, il Musil del ‘giovane Törless’ e dei suoi turbamenti, lo Svevo di Una vita e Senilità) l’arte svicola tra i fervori della rappresentazione: Mostre Saloni, Aste. Accumula opere eccellenti e denari. Infatti ora a dettare le regole, più di quanto non era mai accaduto da quando i Kahnwailer, i Vollard, quel Flechtheim, gli Einstein e gli Uhde, i Morozov (i tedeschi sono la maggioranza! tutti a Parigi)  cominciarono ad aprire bottega, sono appunto i mercanti d’arte. Tanto che proprio in quel 1925, a sette anni dalla fine della guerra, in rue Vignon, nella sua  galleria parigina D. H. Kahnwailer, geniale mercante ebreo maieutico del cubismo, l’inventore di Braque, Picasso, Leger può permettersi una analisi del circostante dell’arte con questi giudizi brevi e ‘violenti’, esagerati non convincenti, ma da parte sua con una verità finale: “il cubismo vende sempre” (non sarebbe mai tornato ad essere il tubismo dei suoi detrattori di tanti anni prima per via dei dipinti di Leger). Cosa altro mai si può vendere, acquistare”?
“Allora”gli chiese un ex dadaista che nel ’25 aveva preso le distanze da quel movimento andando oltre, lo scrittore Luis Aragon “cosa vi è di concreto per cui continuare a credere nell’arte? Qual è la verità”? “Noi, noi siamo la verità” disse Kahnwailer. “Vi è una sola verità: l’arte alla fine di questo quarto di secolo è un businness di lusso. O non è”.
Le cose non stavano esattamente così, ma l’aria nuova era quella. Cosa ha a che vedere tutto questo con Hess? Ecco qua. Quando Luis Aragon passò da Roma e mi accadde di accompagnarlo attraverso piazza Navona per raggiungere la casa di un amico, ricordava ancora quel de profundis della purezza in arte di Kahnweiler. Passammo davanti ad una piccola galleria che esponeva i disegni di uno sconosciuto. “Ecco perché alla distanza mi convinsi che K. potesse avere ragione. In quell’occasione mi propose di acquistare per 240 franchi un Nudo Blu di Braque, Sai a quanto lo rivendetti sei anni dopo? 25.000 franchi”. In quel panorama liquidatorio di K. vi è come mescolato un concetto rivelatore. “Gli schiamazzi di Marinetti e dei suoi amici sono da ridurre ad una specie di variante italiana dell’espressionismo; un movimento che ha prodotto buona letteratura ma sul piano estetico deludente”. I pittori come Kirkner, Nolde, Pechstein della Brucke? “Un lifting all’incontrario, la Bellezza strapazzata sino alla Bruttezza per scioccare i borghesi”. Il Blaue Reiter? “Pura stilizzazione, decorazione (sic). Monaco di Baviera? Rimane soltanto un businness di lusso”.
Ma come?! E’ lì a Monaco di Baviera sia pure nel modernismo moderato dell’Accademia che Christian Hess si è formato. Denari, business di lusso. Il capitalismo è entrato alla grande nel mondo dell’arte, i grandi mercanti trafficano già da tempo con gli USA, indifferenti all’ingratitudine. 
Un teatrino, un agghiacciante festival tutto questo che non riguarderà mai Christian Hess; il successo economico lo sfiorerà appena, forse mai. Ingenerando frustrazioni ed incertezze. L’espressionismo non partorirà ‘varianti’ per lui. Ma quel suo primo impatto con la Sicilia sarà benefico e risolutivo riguardo alle incertezze nel campo della creatività: gliele toglierà tutte. Quando mesi dopo rientra a Monaco il suo dipingere ha una connotazione inequivocabile, come prorompe nella mostra alla Paulus-Galerie del capoluogo bavarese; nella sua adesione al gruppo Die  Juryfreien. Ed in questo si confermerà in ognuno dei suoi ritorni in Sicilia. Dall’avvento di Hitler che predica la damnatio dell’Arte Degenerata, mentre ardono i roghi di libri e dipinti e la Die Juryfreien è messa al bando. Cosa è per Hess  l’espressionismo, cosa perdura, incoraggia, una ricerca sempre in itinere: la fedeltà alla natura (ed alla figura umana) calata nel come è l’arte nei musei, l’eco di quel pensiero di Cezanne. Con un crinale, uno spartiacque affascinante: dai germanici interni con figure alla immobilizzazione delle tempeste di luce che investono scenari e umanità siciliana.
Se incertezze potevano ancora impensierire Hess riguardo agli sviluppi della sua ricerca espressionistica, artista forte e fragile che nutre del dubbio la sua vita e la sua stessa arte, è accaduto però qualcosa negli anni ancora liberi, in una Germania libera e creativa, che è quella di Weimar, quella della Berlino di Brecht, la Berlino raccontata da Christofer Isherwood. L’incontro con un maestro dell’espressionismo, con Max Beckmann. Uno di quei cortocircuiti nelle esistenze speciali che hanno dell’enigmatico, dell’esoterico.
Anni addietro a Washington aggirandomi allo Smithsonian Museum mi imbattei in un dipinto che mi colpì per il titolo: IL TERREMOTO DI MESSINA, 1909. Ma ciò che mi turbò fu il ‘dettaglio’ che Beckmann non era mai stato a Messina. Opera per così dire onirica, Beckmann la dipinse ossessionato da un sogno a ripetizione (probabilmente innescato dalle notizie che subito annichilirono il mondo sulle dimensioni di quel disastro) già nei primi giorni che seguirono, quando con tempismo inesorabile il mondo si rendeva conto della dimensione dell’eccidio perpetrato dalla natura. La fedeltà alla natura di Cezanne anche nell’orrore? Forse o soprattutto. L’espressionismo nei suoi antefatti: van Gogh ritrae un quieto e affabile soggetto ma poi ne rigonfia i tratti, cambia lo sfondo borghese, quel muro dietro a lui dalla tappezzeria sciupata, e vi dipinge un cielo tempestoso. Al  tempo di Christian Hess il crinale è ugualmente cromatico, soprattutto. E induce a parentele: così ci garantisce nelle pagine che seguono il saggio di Sergio Spadaro. Oppure a contagi. 30 artisti siciliani messi in fila, con la copiosa letteratura che li riguarda. Un contributo prezioso alla storia dell’arte poiché, se non altro (e l’altro è il paziente sceverare nella confusione - tra apparenza e obnubilazione - che spesso ammantella di nebbia le fortune degli artisti quanto più ‘importanti’ sono) vi è che se ne trae, in correttissimo situazionismo scientifico la vera figura artistica del Nostro. E mette ordine rispetto a questo essere un capofila, “almeno in senso ideale” scrive Spadaro, al di là delle possibili ‘parentele’. Tra diaspore e ‘campanili’ irrinunciabili, tra siciliani migranti ed altri che si sono adattati a non oltrepassare il virgiliano
mar-tra-mezzo. Con fortune diversissime.
Tutto si tiene, il cerchio si chiude. L’anticlassicismo del Nietzsche degli Idilli di Messina – prendete un verso e mettetelo in bocca come un fumetto alla nera figura urlante della quasi contemporanea, celeberrima litografia di Munch (sofferenza, passione, miseria, violenza, lussuria, gelo). Pensate a quell’artista siciliano citato qui da Spadaro che acconcia una sua figura nella stessa positura placida e autoreferenziale – il Vate, sempre attento alla sua immagine, deve aver dato severe istruzioni al pittore Tischbein che si tirava dietro nel Viaggio in Italia – del  celeberrimo ‘Goethe nella campagna romana’.  L’arte trucca la vita. La natura a sua insaputa è quel che la visione del pittore vuole che sia, l’arte che dà del tu alla vita e che fa proferire a Goethe moribondo: Zu Licht, più luce. “Ecco quel che ci vuole adesso, Zu Licht, si sarà detto Christian Hess: quel lucore azzurro tra i fichi d’india che abbarbicano in un tutt’uno l’asinello del suo primo dipinto siciliano. Ed altri squarci tra cieli e terre. Schwaz (1944) dove va giù il sipario su una vita d’artista ucciso dal mostro imperturbabile della guerra, ancora una, era ancora lontanissima. 

                                                                                                                           Vanni Ronsisvalle

 

 
Storia di Christian Hess nella città di Messina
Vanni Ronsisvalle
 







Editrice Moleskine
Associazione Culturale - Messina
Anno 3 - n.8/9 agosto-settembre 2010
 
 

Mostra di Christian Hess a Roma
Vanni Ronsisvalle  
TG RAI - 24 febbraio 1975

 

Christian Hess: nella sua drammatica esistenza i segni di una condizione artistica divenuta per i migliori simbolo di un’epoca e di uno spirito del tempo.
Nato a Bolzano alla fine del secolo, morto  in Austria nel ’44 per un bombardamento aereo, si era formato negli anni che precedettero il crollo di un mondo e che in pittura, come in letteratura, ebbero esiti così importanti. La Monaco del Blaue Reiter, del Gruppo di Novembre, dell’espressionismo, gli diedero l’impronta che tuttora ritroviamo in questi quadri. Avversario del nazismo, il suo singolare destino lo portò a vivere in Sicilia dove Hess amalgamò la solarità mediterranea con la cupezza degli eventi mittleuropei.
Ne testimoniano queste opere che abbiamo visto all’Istituto germanico di Roma.
Una mostra itinerante che toccherà altre città italiane e si concluderà appunto a
Monaco di Baviera.